AMAZONIA BY SALGADO
L’ occhio di Salgado ha capacità metafisiche, non è solo il medium per rappresentare la realtà. La suggestione, nel visionare la mostra di Salgado, è quella di una vertigine generata dalla bellezza che ti si presenta davanti senza mediazioni. Accade così che mentre osservo la fotografia di un fiume ho la fortuna di vivere una grazia: sono irretita dalla malia, e incapace di resistere catapultata nell’immagine da cui mi è impossibile evadere, la fuga mi è negata. Sento i piedi instabili e vedo la foresta che oscilla (è l’opera esposta che dondola?).. sono sulla canoa che percorre l’igapò. Ho bevuto l’Ayahuasca che mi ha messa in contatto con lo spirito della foresta e mi indica la strada.
Danzo sulla superficie dell’acqua remando lentamente, e il remare è una cerimonia magica; io e la canoa diventiamo una cosa sola. La foresta è verde che ondeggia proteso verso il cielo. È indicibile il sentimento che si prova entrando in questa foresta che sembra appena uscita dalle mani del Creatore. Addentrarsi nella palude fitta e impenetrabile, nel silenzio assoluto, è una discesa nel vortice e un’ascesa al cielo, è viaggiare ai primordi del mondo, quando la vegetazione era sovrana. Canto e la foresta mi rimanda il suo canto di fronde eterne. Respiro e assumo l’energia della foresta.
Ho navigato e poi ho camminato in una mattina nebbiosa tra i rami di queste piante secolari. Mi fermo, mi siedo accanto a un albero e gli racconto tutto. I miei piedi diventano radici che si aggrappano alla terra. Cresco e germoglio come un albero. Sento il vento che soffia e poi all’improvviso sento la pioggia che batte, l’acqua che lava la mia anima.
Sono uscita da una cascata e ho seguito l’arco di un arcobaleno, preghiera di luce nel cielo invaso da nuvole scure. Ho visto il mondo eclissarsi sulla montagna di notte, e la luce bianca dell’eternità distendersi sul fiume e su sottili lembi di terra.
Puoi vivere un sogno da sveglio passeggiando tra le opere esposte in questa mostra, e nella profezia della contemplazione, in silenzio, imparare come un indigeno lo sguardo estetico sul mondo e il sentimento cosmico nel quotidiano.
RICHARD AVEDON – RELATIONSHIPS
Richard Avedon, Palazzo Reale - Milano
La visita alla mostra inaugurata a Palazzo Reale il 22 settembre è un’esperienza immersiva. Non ci sono effetti speciali, musica o proiezioni caleidoscopiche secondo l’uso moderno di molte mostre contemporanee. È un’esperienza immersiva perché, sin dall’ingresso, catapulta il visitatore nel mondo del fotografo. Le stanze di Palazzo reale sono buie e silenziose, e nell’atmosfera ovattata emergono prepotentemente dal buio gli scatti appesi alle pareti, sapientemente illuminati da faretti che indirizzano la luce sulle immagini. Il forte contrasto buio – luce crea una relazione con le opere esposte, in tutto 106 tratte dall’ampia collezione del Center for Creative Photography (CCP), realizzate prevalentemente in un bianco e nero potente, e ne riproduce l’effetto. L’occhio dell’osservatore è guidato dalla luce ad entrare in relazione intima con l’opera.
Sono ritratti di celebrità: artisti, attori, registi, musicisti, ballerini, scrittori, capi di stato, attivisti per i diritti civili e amici del celebre fotografo, realizzati in studio con sfondo bianco o più raramente ambientati, e stampati al cloruro d’argento: la purezza dei bianchi consente di distinguere anche i più tenui toni di grigio. Il bianco aiuta a separare il personaggio dal resto, come dice Avedon, “nel bianco sei solo”. Sono ritratti ravvicinati, nei quali il soggetto occupa la quasi totalità dello spazio. Avedon non amava osservare la gente in piccolo e riteneva che esponendo i ritratti a grandezza naturale offrisse “un’opportunità all’immaginazione di diventare autentica”.
Fotografare persone è creare relazioni, è entrare in contatto: col soggetto fotografato, con l’osservatore, con lo spazio, con sé stessi. Arte di cui Avedon era maestro, e motivo del titolo della mostra – RELATIONSHIPS. Anche le fotografie di moda superano i confini del mero lavoro commerciale; Avedon stabiliva relazioni importanti con le sue modelle, sue muse ed amiche, e con i designer, in particolare Gianni Versace col quale stabilì un sodalizio duraturo a cui è dedicata una sezione della mostra.
La comprensione del mondo del fotografo e del suo modo di lavorare è aiutata dalla presenza importante di sue citazioni nelle sale. La più celebre è esposta all’ingresso della mostra: “Se passa un giorno in cui non ho fatto qualcosa legato alla fotografia, è come se avessi trascurato qualcosa di essenziale. È come se mi fossi dimenticato di svegliarmi.”
RHAPSODY IN BLUE / EDITORIALE
Ho il piacere di informarvi della pubblicazione sulla rivista MAKEUP & BEAUTY MAGAZINE del mio editoriale beauty intitolato “Rhapsody in blue”
MAKE UP & BEAUTY MAGAZINE: RHAPSODY IN BLUE
Tutti gli scatti dello shooting sono pubblicati nel mio portfolio.
“Il trucco può aiutarti a catturare un momento.” Carine Roitfeld
RHAPSODY IN BLUE: Un make up contemporaneo e raffinato che ispirandosi alle profondità marine incornicia gli occhi con un intenso e profondo blu cobalto, utilizzato in maniera irriverente.
ADZOVIOS A LUVULA – INCONTRI A LULA
Una conoscenza come viaggio del cuore nei luoghi dell’anima
Lula è un paesino di poco più di mille anime, nel cuore della Barbagia Nuorese, a vocazione agropastorale.
È il luogo dell’anima di Nello Taietti, è un “luogo a fare di due vita una”, come scriveva Ungaretti, spazio fisico – raggiungibile e visitabile – e finestra temporale, un luogo dove Nello si sente a casa, dimenticando il resto del mondo, un luogo che gli consente di trovare o ritrovare sé stesso e di sentire di essere esattamente quello che è. È un luogo che, senza apparentemente aver fatto nulla di particolare, ha toccato il suo intimo, ed è divenuto il luogo che ama e che preferisce.
Nello vive nella metropoli milanese e Lula è il luogo dell’anima che si oppone al non-luogo della metropoli globalizzata, spazio anonimo e impersonale dell’indifferenza urbana, del consumo, della socialità veloce, della superficialità, dove non c’è tempo per la riflessione e per la relazione.
Lula al contrario è uno spazio per riflettere, uno spazio che regala emozioni e fonte di ispirazione.
Nei luoghi magici accadono incontri e Nello si ritrova ad ascoltare i racconti degli abitanti del paese. Scopre che questo luogo è permeato da uno straordinario contenuto di senso, di valore. Entra in risonanza con l’anima del paese creando una sinergia benefica e produttiva.
La necessità di approdare ad una pienezza intima di comunicazione conduce alle immagini che affollano i giorni, l’anima, e che ora affollano gli spazi espositivi della Fondazione Matalon.
Insieme al figlio Gianmarco che lo raggiunge in occasione di una festa popolare, decidono di raccontare una storia, rivelare il luogo, l’evento, l’umanità dei momenti, e mostrarci più che la realtà del paese, l’immagine che essi ne hanno. Vedono, non guardano. Assaporano intensamente la vita del paese e accumulano impressioni, fotografano invece di parlare. Creano ricordi. Il risultato è un documento significativo, una pungente dichiarazione d’amore. Come scriveva Saint Exupery, “si vede solo con il cuore”.
Il soggetto principale degli scatti è la varia umanità che popola Lula: volti, labbra, sorrisi, nasi, sguardi, espressioni e movimenti che aspettano solo l’occhio dei fotografi per emergere. La fotografia è azzardo dell’incontro, comprensione immediata e trascrizione istantanea. Le fotografie sono principalmente in bianco e nero, perché quando si ritraggono le persone in bianco e nero, si fotografano le loro anime. È un bianco e nero contrastato e potente, che esprime tutta la luce della Sardegna, e che dà unità allo sguardo di padre e figlio, pur leggermente diverso nell’approccio e nelle modalità del ritratto.
Gli abitanti di Lula si danno, si mettono a nudo davanti all’obiettivo. L’esposizione allo sguardo altrui è un’attestazione di esistenza, è un rapporto con sé, con altri e con l’immagine. Vedersi in una fotografia ed essere sorpresi dallo sguardo del fotografo che coglie dettagli o pose spontanee e segrete, è una scoperta. È ciò che manca ai selfie della metropoli. Come disse Borges, “non si esiste che quando si è fotografati”. Nello spedisce da Milano qualche foto a Lula e conquista i cuori. La fotografia crea il legame.
Sono tutte fotogeniche le persone ritratte, donne, bambini ed anziani pur con le loro imperfezioni, perché sono persone abitate, non vuote. Perché si diventa fotogenici quando si ha voglia di darsi. Gli abitanti di Lula si espongono, esibiscono le loro fragilità, mostrando la propria intimità, e portando alla superficie visibile ogni arcana profondità.
Il comune denominatore delle foto è il tempo: il tempo delle cose, della gente, delle emozioni, il tempo che scivola via fra le dita e gli sguardi. Le persone sono ritratte nelle loro attività quotidiane, nelle chiese e nelle loro case, nelle strade, sedute sulle panche in granito della piazza o sull’uscio di casa. Osservando le foto, si respira un’aria di silenziosa sacralità.
Nello realizza principalmente ritratti in primo piano, mentre lo sguardo di Gianmarco è più di strada e i ritratti principalmente ambientati. I momenti di festa sono raccontati attraverso gli abiti tradizionali e, più che durante gli spettacoli folkloristici, nelle pause e nelle fasi della preparazione del cibo. Le migliori fotografie sono ai bordi degli eventi, fotografare l’evento è quasi meno interessante.
Per quanto Nello abbia nel tempo stretto più legami e approfondito conoscenze, nessuno resterà più un estraneo neppure per Gianmarco, perché, come diceva Tornatore: se fotografi uno sconosciuto, nell’istante stesso in cui fai scattare l’otturatore, quella persona smette di esserti estranea, perché la porterai sempre con te.
Erano tanti, gli abitanti di Lula, alla Fondazione Matalon.